I confini del tempo

Raffaela Rondini

 

Fare un giro ai musei ci offre dunque una buona occasione per rimettere a punto le nostre conoscenze e per guardare da vicino i nostri antenati, scoprendo talvolta come siano antichi certi usi moderni ovvero estremamente simili ai nostri certi modi arcaici.

Le civiltà antiche più studiate sono quelle dei Babilonesi, quelle degli Egizi, quelle dei Greci, quelle dei Romani, tutte ampiamente rappresentate su quest’isola.

Quando si studiano scolasticamente le civiltà del passato si è portati a concentrarsi sui periodi di apoteosi, di massima fioritura di esse, cristallizzandoli e stigmatizzandoli in pochi concetti fermi e chiari, quasi a non volere far sfuggire le civiltà stesse alle nostre definizioni.

Sappiamo invece, naturalmente, perché ce lo ha suggerito Johann Gottfried Herder nel XIX° secolo, ma sicuramente lo avremmo intuito anche da soli, che le popolazioni si sviluppano in modo dinamico lungo archi temporali estesi e vari e che nei loro albori, nel loro svilupparsi e nel loro decadere si assomigliano incredibilmente un po’ tutte o sono grosso modo paragonabili alla vita di un qualsiasi essere vivente che è prima piccolo, poi cresce ed infine muore.

Queste osservazioni, modulate nelle loro più sfumate variazioni, appartengono dai tempi antichi alla storia della filosofia e sono spesso ricondotte alle grandi famiglie di pensiero del platonismo e dell’umanesimo.

I grandi popoli della storia sarebbero cioè nati come piccole tribù che poi si sarebbero espanse ed affermate e che poi sarebbero state vinte da altre ex piccole tribù che poi si sarebbero espanse ed affermate e che poi sarebbero state vinte da altre ex piccole tribù  che poi si sarebbero espanse ed affermate e che poi…

Quando ci si appassiona alle albe ed ai tramonti dei popoli, o semplicemente ci si ricorda di tenere in considerazione anche le albe ed i tramonti delle civiltà, grandi o piccole che siano, si assimila certamente in modo più profondo la storia. Si capisce quanto siano sfumati i confini tra una civiltà e l’altra, quanto si siano influenzate le une con le altre, si constata, per esempio nelle prime sale al piano terra dell’Altes Museum come siano egiziani i Greci fino al VII° secolo a.C. con le loro statue dai corpi rigidi come colonne coperte dai chitoni pieghettati, quanto siano greche le città del Sud d’Italia coi loro grandiosi teatri, e poi saliamo al primo piano a riflettere su quanto fosse etrusca Roma, ed a sua volta assira, fenicia, egizia, greca ed anche tanto misteriosa l’Etruria, e poi facendo quattro passi al Pergamon scopriamo quanto fossero cinesi gli Arabi, o arabi gli Spagnoli e i Siciliani. Si ammiri nella sezione mediorientale del Pergamon il soffitto in legno intarsiato della cupola della Torre delle Dame del palazzo Alhambra di Granada, città spagnola musulmana fino al 1492. E poi ancora al primo piano dell’Altes Museum si ricorda che gli  Egizi ebbero, naturalmente, anche un periodo ellenistico ed un periodo romano, come ci dimostra il rarissimo dipinto antico del 140 d.C. detto Ritratto di mummia di signora benestante: collana di perle, orecchini in parure, capelli ricci acconciati morbidamente in alto, sguardo intenso ed elegantissima aria da patrizia romana, eppure si tratta di una signora egiziana…Cosa dire della movimentatissima storia di Cipro, isola mediterranea patria di Afrodite, dea dell’Amore, dal cuore greco, assiro, egizio, persiano, romano, raccontata nella sala numero 106 del Neues Museum? O della meravigliosa Porta del Mercato di Mileto, ricostruita completamente e coraggiosamente dopo lunghe discussioni al Pergamon, splendida opera romana ellenistica riccamente ornata da capitelli corinzi e abbondanti motivi di drappi floreali che corrono sul fregio che si ergeva sull’allora floridissima costa occidentale dell’odierna Turchia all’epoca di Adriano, ovvero di quell’imperatore romano con la barba che voleva a tutti i costi assomigliare ad un filosofo greco?… E così via di sconfinamento in sconfinamento, di rimescolamento in rimescolamento…

Passeggiando quindi per quest’isola, tra arcaismi, classicismi e decadentismi, abbiamo la preziosa possibilità di entrare nel fluire dei popoli in modo complesso, certamente, ma anche dolce, senza strappi e di leggere la storia come un continuo ampio ed armonico, gustando platonicamente al meglio il fascino eterno delle vicende umane.

Osserviamo, ancora, come quando si dica Grecia qui si sottintenda spesso solo l’altare di Pergamo e cogliamo l’occasione per ricordare che questo rappresenta invece solo un momento tardo dell’arte greca in Asia Minore.

L’Altes Museum ci puntualizza pronto nelle sue prime sale al piano terra che gli antichi Greci fino al VII° secolo a.C. adoravano ancora semplicemente gli dei all’aperto, nella natura, Zeus in montagna, Poseidon al mare, Demetra nelle pianure fertili, Atena in città e così via…

Insomma anche dire Grecia è un parlare con mille significati e noi vogliamo oggi semplicemente un po’ suggerire di allenarci a guardare scrollandoci di dosso qualche steccato culturale di troppo.

Ciò premesso, consideriamo allora pure questo splendido altare, anche solo immaginandolo.

L’Ara di Pergamo, disseppellita con incredibile fortuna e relativa facilità nella città turca di Bergama nel 1878 e trasportata poi subito appresso con un lungo viaggio in treno fino a Berlino, è stata fino ad oggi una grandissima attrazione dei musei che si è offerta a  macchine fotografiche di ogni marca e precisione, che ha ascoltato guide che si sgolavano in tutte le lingue ed è un’opera decisamente convinta del fatto suo, come biasimarla? E’ l’Altare di Pergamo, uno dei pezzi più grandi e meravigliosamente conservati dell’arte ellenistica, cioè di quella Grecia talmente colta, matura e conosciuta oltre i suoi confini da essere sull’orlo del proprio inevitabile tramonto, pronta ad essere fagocitata dai germi decompositori della barbarie.

Siamo nella città alta di Pergamo, in quella che è oggi appunto Bergama, mancano ancora quasi due secoli alla nascita di Cristo, Dio Padre monoteista dorme ancora nella Galassia dei Tempi mentre su questo fregio che corre tutt’intorno ad una scalinata larga venti metri, si svolge attraverso un centinaio di figure l’allora mitica e modernissima lotta tra dei e giganti, fra ordine e caos, fra diritto e forza bruta, insomma fra bene e male.

Gli dei greci, a dire il vero, non è che fossero proprio stinchi di santo, come il buon Dio. Essi non soffrivano malattie, vecchiaia e morte ed avevano poteri e vita facile, ma quanto a passioni ne avevano quante e più degli uomini. La letteratura ci riporta telenovele infinite di gelosie, tradimenti, parentele incestuose, omicidi, sevizie, come quella al povero Prometeo alla quale abbiamo accennato sopra, ed altri orrori…

Qui su questo fregio, però, la storia vuole essere per tutti edificante ed è raccontata da rilievi rappresentanti eroi, giganti dei, semidei ed animali con una consapevolezza, drammaticità e padronanza prospettica da lasciare colpiti.

Le figure si staccano dal fondo del fregio per quasi tre quarti con una plasticità strabiliante e, se

le ricostruzioni sono parziali, la perfezione dei pezzi rende l’incredibile realismo dei particolari: muscoli addominali, dorsali, bicipiti, pettorali e glutei nelle scene dei corpi avviluppati nelle lotte, zampe di cavalli che spuntano fra gli arti umani, elmi con fibbie, attorcigliarsi di serpenti, riccioli ed acconciature degli eroi, squame dei rettili, criniere, prorompenza di seni che tendono le vesti, inserzioni tendinee, artigli, pieghe glutee, cordini che stringono i paludamenti pieghettati alla vita, branchie, peli pubici, calzari con laccetti stretti, morso e frogie dei cavalli, terrore, rabbia o sofferenza negli occhi in un crescendo di pathos ed energia.

Se si pensa che un tempo le figure in rilievo sul fregio erano anche vivacemente colorate questa storia lunga qui ben 120 metri ce la immaginiamo quasi come reale.

Ciò che con fatica, invece, immaginiamo, è che anche gli dei, i semidei, i giganti, gli eroi e gli animali siano stati portati tutti in Russia dopo la Seconda Guerra Mondiale e lì vi siano rimasti, in compagnia del suddetto Fanciullo che prega e di migliaia di altre celebrità fino al 1958.

L’Oro di Troia si è invece talmente ambientato bene a Mosca che ha deciso di non farsi rimpatriare.

6 anni fa