La cupola Clara

Raffaela Rondini

Cupola del Reichstag mi chiamano a Berlino e nel mondo perché solo pochi sanno che mi chiamo Clara. Cupola del Reichstag non è sbagliato, intendiamoci, è la mia occupazione.

Dicono di me che sia bella, giovane, che dia luce, aria ed energia al Parlamento tedesco.

Sono amata ed ammirata da milioni di occhi: praticamente sono felice.

Sono nata Principessa della Democrazia. E a chi mi dice che suona strano rispondo che strano non è. Principessa della Democrazia suona bene in tutte le lingue: Princess of Democracy, Princesse de la Démocratie, Prinzessin der Demokratie, Princesa da Democracia, Principessa della Democrazia…

Sono talmente bella che abbaglio. Ti consiglio di portare occhiali da sole. Non sto scherzando. Se li hai dimenticati li puoi comprare da Käfer, il ristorante che è quassù accanto a me: è l’unica cosa che è a buon mercato  perché bene di prima necessità. Occhiali democratici, caffè principesco. La vista è mozzafiato: da qui i tuoi occhi abbracciano tutta Berlino: l´est, l’ovest, il nord ed  il sud!

Ma non solo! Qui scopri anche il nord-est, il sud-est, il sud-ovest, Il nord-ovest… Tutto qui intorno! Tutto ai nostri piedi! Gira-gira tutt’intorno! 360°!

Ti do del tu perché sono inglese e noi diamo del tu a tutti, ma con rispetto, sai: con la t maiuscola, anzi, maiuscolissima, una t alta 24 metri, come me: va bene?

Sono inglese perché mio padre è inglese, l’ architetto Sir Norman Foster, ma sono nata e ho studiato qui.

Essere Principessa della Democrazia è il più bel mestiere del mondo. Fin da piccola non avevo altri sogni: né ballerina, né maestra, né pompiere. Null’altro che Principessa della Democrazia. Ero determinata. Un giorno ho chiesto al mio babbo: babbo vorrei diventare principessa della democrazia. E lui, con le sue solite risposte mi fa: Clara, tu lo sei già di nascita, ma se vuoi fare qualcosa di buono studia: conosci te stessa!

Io intendevo, veramente, andare all’ Università, conoscere gente, ma non c’è stato verso.

Di gente ne vedi già abbastanza, mi ha risposto: cerca ora di vedere chi sei.

E da allora mi sono guardata e riguardata nei 360 specchi del cono scultore di luce, ripartiti su 30 file da 12, ho contato e ricontato le 24 lastre di vetro che mi ricoprono, moltiplicate per 17 livelli che si appoggiano sul mio scheletro fatto di 24 costole verticali di sezione triangolare che dalla mia base raggiungono la mia sommità, rinforzato esternamente da 17 raggi di acciaio.

Ho moltiplicato 17 per 24 ed ho trovato che fa 408.

Quindi 408 sono le lastre di vetro che mi rivestono.

Ho chiesto per sicurezza conferma ad una classe di bambini in gita.

Hanno un po’ litigato, è volato qualche insulto, ma alla fine il conto era giusto per tutti.

Le 17 file si sovrappongono le une sulle altre in maniera concentrica e scalare. Il mio diametro massimo misura 40 metri.

Lo spazio vuoto che si viene a creare fra la fila inferiore e quella superiore è stato lasciato aperto nei primi tre giri, così respiro e respiri pure Tu. Aria entra pure dal foro di 8 metri posto sulla mia sommità, protetto da una retina trasparente per non fare cadere dentro gli uccelli.

Già, perché uccelli di ogni ordine e specie arrivano in stormi qui da ogni dove e cadrebbero dentro volentieri attratti dalla curiosità di vedere la famosa aquila di alluminio ionizzato di 58 mq. che pesa 2 tonnellate e mezzo, appesa con dei cavi d’acciaio e posta davanti ad una parete di vetro dell’Aula plenaria il 17 dicembre del 1998. E’ tutto un twittare dall’alba al tramonto quassù: E’ vero che è di un terzo più grande della Fette Henne ( la gallina grassa) di Ludwig Gies che era a Bonn? E’ vero, è vero. E’ vero che Foster l’avrebbe voluta più magra, ma dopo 180 disegni si è arreso alla volontà del Bundestag di un’aquilona perché magra, dicevano, era sempre stata troppo nervosa? E’ vero, è vero. Guarda che sguardo arcigno che ha l’aquila a Platz der Luftbrücke a Tempelhof: quella era un’aquila nazista! Tutte le volte che l’aquila tedesca è stata magra lo spirito aggressivo e le tendenze espansionistiche hanno avuto la meglio, non lo sai? E tu come lo sai? Lo so, lo so.

 E’ vero che non ci passava da nessuna porta e l’hanno portata dentro divisa in tre pezzi? E’ vero, è vero. Non sarà mica che assomiglia a un Budda? Ma che scemenze vai dicendo! …E avanti così tutto il giorno, tutti i giorni, domeniche comprese. E poi dicono che gli uccelli sono in via d’estinzione! Tutti qua sono! Quando hanno finito di twittare dell’aquila attaccano a cinguettare di ecologia.

All’inizio avevano paura. Le allodole mandarono avanti i corvi a sincerarsi che tutti quegli specchi non fossero una gigantesca trappola approntata per loro, ma poi, accertatesi che si trattava di un dispositivo ecologico, si aprì un giorno di primavera un vero e proprio simposio aviario per spiegare definitivamente il significato della struttura. Una rondine, schiarendosi la voce, rivelò: Nascosto nell’imbuto ricoperto di specchi lavora un impianto di recupero del calore che sfrutta l’energia termica dell’aria viziata che esce dall’Aula plenaria per riscaldare l’edificio. Santo cielo! Fece una cinciallegra. Dal tetto Sud rispose un piccione: Qui c’è un impianto fotovoltaico di 300 mq! Un merlo echeggiò: Anche qui sul tetto della Paul-Löbe Haus e della Jakob-Kaiser-Haus ci sono impianti simili! Riprese la rondine: il cuore del progetto ecologico sono le centrali di cogenerazione del quartiere parlamentare. Cogenerazione? Cogenerazione? Balbettò un pappagallo. A questo punto prese la parola un passerotto, fresco di studi, che illustrò: Secondo il principio della cogenerazione il calore formatosi durante la produzione di elettricità viene sfruttato per riscaldare gli edifici del Parlamento. Grazie a questa tecnica le centrali possono fornire il 50 per cento dell’elettricità ed il 100% del calore e del freddo necessari per gli ambienti.Un picchio precisò che il calore da cogenerazione non utilizzato  veniva accumulato in un condizionatore ad assorbimento per la produzione di aria fredda oppure immagazzinato d’estate in forma di acqua calda in un serbatoio naturale, situato in una falda sotterranea a circa 300 metri di profondità, per poi venire utilizzato in inverno. Geniale! Sentenziò un merlo. Ma allora è vero che sono più intelligenti di noi… sospirò laconica una pernice. Ma figurati! Sbottò una cornacchia grigia infastidita. Copiano! Come quando andavano pavoneggiandosi di avere inventato il volo! Ho sentito dire – attaccò un pettirosso – che sono andati a spiare un cammello nel deserto per carpire il segreto della sua termoregolazione e che poi…

E qui cominciarono un pissi-pissi per raccontarsi storie segrete e che da allora non è più finito.

E’ un’ assemblea permanente che arriva e parte in stormi ogni santo giorno e si informa ed informa i suoi simili su tutte le tecniche ed i dispositivi a risparmio energetico e che utilizzano energia pulita.

Dicono che non possono mollare la guardia, che l’attenzione sulla qualità dell’aria deve rimanere alta. Ascoltano i resoconti dell’aquila dell’Aula plenaria, che manda informazioni tramite un piccione, ed a giorni sono soddisfatti ed a giorni si inquietano. E’ una lobby invisibile questa degli uccelli del Reichstag, ma così organizzata, informata e consapevole che ad essa pare vorrebbero ispirarsi i piccioni di Piazza San Marco, i corvi del Tower Bridge, i  gabbiani della Sagrada Familia…

Ma dove eravamo rimasti? Ah, ti stavo parlando di me.

Al mio interno trovi  due rampe di acciaio l’ una di fronte all’altra che salgono con gradiente di 8 gradi avvolgendosi a formare una doppia elica. Da un lato sali e dall’altro scendi.

230 metri di sensazionale ascesa e 230 metri di corroborante ridiscesa sospesi nell’azzurro, nel grigio, nel rosa, nell’arancio e  nel colore che il cielo in quel momento ha. I tuoi piedi sono al sicuro sull’acciaio eppure contemporaneamente leggeri; il tuo corpo è  protetto dalla copertura di vetro, ma è anche libero nello spazio, mentre l’avvitarsi dell’elica ti sospinge magicamente e naturalmente dandoti l’ebbrezza del decollo. Come ciò avvenga non lo so. Le rampe pesano in tutto circa 800 tonnellate. Non ho chiesto conferma ai bambini, ma il dato è certo. La materia c’è eppure non si avverte. Esserci e non esserci. Che volesse dire questo mio padre?

Chi sono io? Perché ci sono?

Una cupola come me sul Parlamento tedesco è non solo bella, ma simbolo di trasparenza, partecipazione e della sovranità del popolo che, letteralmente, si erge sopra i suoi rappresentanti, che nell’Aula plenaria stanno prendendo decisioni in suo nome e li controlla.

Il popolo sale su senza pagare il biglietto, magari fa una lunga fila se non ha prenotato la visita o un tavolo al ristorante Käfer, e però può entrare in qualsiasi momento dalle 8 alle 23 come fosse casa sua. Anzi sull’architrave c’è proprio scritto che è casa sua, tante volte lo dimenticasse qualcuno: DEM DEUTSCHEN VOLKE, bello grosso, lettere di 60 cm di altezza, ben visibili da lontano pure dai miopi, dagli astigmatici e dagli alticci. Nessun pericolo di sbagliarsi di casa, di andare, che so io a bussare al Kanzleramt di fronte.

Ma che Parlamento è questo tedesco di cui sono la cupola?

E’ un Parlamento che ci tiene a dire che è orientato verso un futuro luminoso, giusto, ecologico, democratico e tollerante.

E’ un Parlamento che stima gli artisti che osservano e vivono nella società e tiene in considerazione il loro sentire ed il loro pensiero.  E’ un Parlamento dove il bello vuole essere il simbolo del bene morale. E’ un Parlamento che non dimentica il passato.

Qui da me c’è una breve esposizione della storia della Germania. E poi, anche se si tratta di un Parlamento e non della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, la storia dell’Arte soprattutto tedesca degli ultimi decenni è qui ben rappresentata.

Abbiamo all’ingresso principale i 3 pannelli di vetro di Gerhard Richter, montati uno sull’altro per un’altezza complessiva di 21 metri e per una larghezza di tre che si chiamano Nero Rosso Oro, che richiamano, certo, la bandiera tedesca, ma sono anche molto di più. La leggerezza e la fragilità del vetro ci ricordano di quanto sia fragile la democrazia, eppure bella, luminosa, trasparente…E poi, proprio di fronte ai pannelli di Richter ci sono i cinque brillanti ed ironici riquadri illuminati di Sigmar Polke, Sul Posto, che accompagnano il visitatore cambiando di prospettiva man mano che si passa loro accanto grazie allo strato di plastica prismatica. Si può sentire la corposità dei materiali nelle sculture di Ulrich Rückriem nel cortile sud. E chi vuole pregare o meditare ha a disposizione la mistica, raccoltissima cappella multiconfessionale, opera di Guenther Ücker: altare semplicissimo, arredi minimi appena poggiati al muro che rendono bene l’idea della transitorietà della vita umana sulla terra. E cosa dire del poetico ed immateriale Solo col Vento, col Tempo e col Suono di Anselm Kiefer, quadro esposto in una delle sale ricevimento che ci dice di quanto ciò che oggi ci sembra così concreto in realtà poi si perde nella condizione di esuli ed anche, in senso lato, nelle mutevoli e parziali esperienze della natura umana? L’americana Jenny Holzer ha installato all’ingresso del lato nord dei pilastri luminosi, sui quattro lati dei quali scorrono ininterrottamente per cicli di 20 giorni dei LED, con scritti dei discorsi significativi, raggruppati per temi, pronunciati in parlamento dal 1871 al 1999. Di notte i pilastri non si vedono più e le parole, che continuano a scorrere sembrano da sole sostenere il soffitto. Psichedelico! Hans Haacke ha invece sistemato una grossa aiuola nel cortile nord al centro della quale ha scritto con lettere al neon, ma con gli stessi caratteri dell’iscrizione del frontone DER BEVOELKERUNG, (alla popolazione); ha installato una webcam ed ha chiesto ai parlamentari di portare nell’aiuola delle zolle di terra e delle piantine provenienti dai collegi dai quali sono stati eletti. Questo per segnare il legame di responsabilità che lega i rappresentanti del popolo al popolo stesso e la terra come origine e fine di tutto. Hermann Glöckner gioca a piegare le forme geometriche come fossero azioni ed osserva che queste producono luci ed ombre; Joseph Beuys ha messo il suo tavolino con sopra una batteria collegata con dei fili a due palline poste sul pavimento all’uscita dell’Aula plenaria come per dire: Achtung! Achtung! Elementi così semplici e familiari hanno una potenza simbolica ed evocativa straordinaria. Jens Liebchen ha fotografato gli artisti che hanno contribuito con le proprie opere ed allestimenti accanto alle loro creazioni, documentando così questo abbraccio tutto nuovo fra politica e arte.

Due mondi così diversi, si direbbe, eppure che imparano a convivere, ascoltandosi e parlandosi.

E’ questo senza dubbio il Parlamento più bello del mondo! Ma come si nasce stinchi di santo e cupole luminose?

C’è una ricetta che possiamo rivelare, un abracadabra della bellezza così da trasformare tutti i parlamenti come per incanto in meravigliose creature?

A vedere un Parlamento così perfetto dentro e fuori, così chiaro e pulito nelle sue linee essenziali si è portati a pensare che la bellezza sia cosa facile. In realtà ciò che vediamo è frutto di un lungo, lunghissimo cammino, fatto di tanto, tantissimo lavoro, di tanta, tantissima gente. La costruzione del nostro Parlamento è stata tanto sofferta quanto la costruzione del nostro parlamentarismo. E quando questo è stato ucciso è stato anch’esso bruciato per poi essere devastato dalle bombe ed infine rinascere, con molta fatica ed estenuanti decennali discussioni, dalle sue ceneri e diventare ciò che ora appare. E’ una storia dolorosa la nostra e questo già lo sai.

Innanzitutto che cos’è il parlamentarismo? Questione sostanziale, giacché senza parlamentarismo il Parlamento a cosa servirebbe? Guglielmo II, recalcitrante committente di quest’edificio, sosteneva, per esempio, che fosse roba da donne, roba per i francesi, mentre i tedeschi, maschi, si sentivano piuttosto a proprio agio nell’antiparlamentarismo. Lasciando perdere le argomentazioni di Hitler nel Mein Kampf, pubblicato nel 1925, ciò che è innegabile è il fatto che una certa insofferenza per il principio parlamentare e’ stata a lungo più ampia di quanto si possa oggi immaginare.

Il  militarismo autoritario prussiano prima ed il nazionalsocialismo ed il comunismo poi furono tutt’altro che pervasi dallo spirito democratico e parlamentare, come già sai.

E però nonostante  questa avversione il Parlamento venne costruito. Ma che fatica!

I lavori iniziarono il 9 giugno del 1884 ed apparvero già da subito ardui. Ci furono già dall’inizio problemi con le fondamenta: il terreno sabbioso, infatti, teneva poco; poi vennero gli scioperi  dei lavoratori ed inoltre devi considerare il fatto che la produttività del lavoro era ancora all’epoca scarsa; pensa che i trasporti dei materiali avvenivano ancora allora prevalentemente per mezzo di cavalli da tiro. Se ti dicessi che per realizzare la sola opera in muratura al grezzo ci vollero ben 8 anni – dal 1884 al 1891 – due anni in più del previsto, forse l’immagine non ti sarebbe altrettanto viva  che se ti dicessi che per tutte e quattro le stagioni e le intemperie dell’anno 1884, e poi dell’anno 1885, e poi del 1886, e poi del 1887, e poi del 1888, e poi de1889, e poi del 1890 e poi del 1891 folle di lavoratori si avvicendarono al gigantesco cantiere. Alcuni di questi ci persero , giovanissimi, anche la vita cadendo dalle impalcature, come Gaetano Negri, Otto Keller, Ernst Giersch…hai presente la poesia di Bertolt Brecht Domande di un Lettore Operaio? Quella che dice: Chi costruì Tebe dalle Sette Porte? Dentro i libri ci sono i nomi dei re. I re hanno trascinato quei blocchi di pietra? Babilonia tante volte distrutta, chi altrettante la riedificò?

Ecco: prova a pensare a questa moltitudine di operai…

Paul Wallot si chiamava il primo architetto del Reichstag ed era di origine ugonotta. I suoi contemporanei lo descrivono come uomo dotato di straordinaria intelligenza, energia, senso dell’umorismo e capacità di resistere alle avversità; quest’ultima dote, in particolare, essenziale per poter svolgere al meglio il duro compito di essere al servizio del Kaiser. Una certa tensione dialettica fra committente e realizzatore dell’opera è comprensibilmente nella natura delle cose e la storia dell’arte è anche  la storia di tante gastriti, depressioni reattive ed accessi di bile, ma qui assistiamo ad un vero e proprio duello senza esclusione di colpi tra Wallot e l’imperatore Guglielmo II.

Quando iniziarono i lavori, nel 1884, imperatore era ancora Guglielmo I, il quale seguì, contestando, i lavori fino al 1888, anno della sua morte; poi gli successe al trono, dopo il breve intermezzo del già gravemente malato Federico III,  Guglielmo II. Quest’ultimo ereditò da Guglielmo I pure il ruolo di contestatore ed in ciò brillò in tutto il suo caparbio splendore conservatore.

Il Sovrano si preoccupava di mantenere il controllo su uno stato assoluto e di espandere la potenza dell’Impero arroccandosi culturalmente e moralmente su valori e gusto tradizionali.

I Kaiser erano d’altra parte sempre abituati a comandare su tutto ed i sudditi grosso modo ad obbedire su tutto, ma nella società in generale e qui nella nostra storia con Wallot stava accadendo qualcosa di nuovo.

Il ruolo dell’architetto – sosteneva  per esempio Paul Wallot – era pratico da un lato, nel senso che a lui facevano riferimento tutte le maestranze coi loro problemi quotidiani, ed al contempo teso ai sogni, all’ ideale, al Sole ed al Paradiso, come amava lui stesso dire. Egli si sentiva così ispirato che  altri vincoli non ne percepiva.

Tra i suoi sogni c’era quello di  realizzare qui una cupola che non fosse in muratura, bensì moderna: in ferro e vetro, che potesse essere espressione di una sintesi fra le varie arti.

E però il Kaiser non gradì la scelta dei materiali.

Più di tutto pare lo offendesse il fatto che la cupola del Reichstag fosse alta 75 metri, cinque metri in più di quella del suo Schloss e sei metri più alta della  Siegessäule.

Insomma tra il 1891 ed il 1893, quando venne costruita la cupola e vennero allestiti gli interni il clima si surriscaldò.

Nell’aprile del 1893 Guglielmo I si trovava a Roma quando esternò che il Reichstag e la sua cupola erano per lui la “ somma della mancanza di gusto” e con ciò facendo da pendant alla sua precedente esternazione “ sembra una casa per scimmie”.

Immediata scattò la solidarietà per Wallot da parte degli artisti romani prima e da tutto il mondo poi e la preoccupazione per il danno diplomatico provocato dall’Imperatore.

Wallot venne fatto membro onorario delle più svariate associazioni di architetti e progettisti e però ritenne comunque più sano lasciare Berlino nell’ottobre del 1894 per andare a lavorare a Dresda.

Il 5 dicembre del 1894 venne inaugurato il Reichstag con una parata militare. Non una parola e non un ringraziamento espresse il sovrano per l’ architetto.

Il Presidente del Parlamento, Albert von Levetzow, invitò i deputati a festeggiare al ristorante, pregando le stenografe di non protocollare l’invito. Il ricevimento andò avanti, tra un brindisi e l’altro, fino al mattino.

Il 7 dicembre sera, invece, ebbe luogo la festa parallela delle maestranze: 600 invitati fra ingegneri, architetti, pittori, scultori…

Rifiutata dal sovrano, dalla stampa, da alcuni intellettuali e dall’opinione pubblica la proposta di Wallot di dedicare l’edificio al popolo tedesco con una scritta sull’architrave dell’edificio, fra le sei gigantesche colonne ed il timpano.

Scriveva il “ General Anzeiger “ di Francoforte sul Meno il 27 e 31 gennaio del 1895 che si usa porre un insegna su un locale commerciale per fini privatistici, per informare i clienti di quale genere di negozio si tratti, ma non su un Parlamento!…

Capitolò, digrignando i denti, Guglielmo II sulla questione della dedica solamente nel 1916 al solo fine di tirare su il morale della popolazione in quell’infausto anno di quella guerra che avrebbe dovuto essere breve e vittoriosa ed invece stava volgendo al peggio.

Ma cosa successe all’interno del Parlamento dopo la festa di inaugurazione? Il 1895 segnò l’inizio dei lavori di pittura di Gustav Schöneleber e di Eugen Bracht. Angelo Jank contribuì successivamente con le sue celebri pitture storiche. Anziché scegliere un tema di natura parlamentare pensò di raffigurare la Battaglia di Sédan. Praticamente un ceffone alla Francia.Venne criticato sia per la scelta del tema che per il suo svolgimento. Possibile che non ci si riuscisse ad emancipare dall’antifrancesismo? Possibile. Era il 1908. La sala dell’Assemblea venne completamente rivestita in legno al fine di migliorarne l’acustica. Incombeva poi sulle teste dei parlamentari un pesantissimo lampadario in bronzo del diametro di 8 metri.

Fatto il Reichstag, questo monumento vagamente rinascimental-palladiano-protobarocco di pietra con sovrastante moderna cupola di pianta rettangolare in vetro verde e ferro, si trattava ora di fare la piazza.

La nuova costruzione infatti si perdeva in quella prateria di 11 ettari che era Königsplatz.

La speranza di risaltare in quella landa sconfinata era per esso minima. Wallot pensò allora di suddividere l’estesa superficie piantando degli alberi. E così si fece. Certo non fu come valorizzare la Basilica di San Pietro per mezzo del colonnato del Bernini, ma fu già qualcosa.

Il 1898 morì poi Bismarck e si decise subito di erigerne una statua davanti al Parlamento.

Seguì un dibattito di due anni su i materiali da utilizzare, la posizione che dovesse assumere il corpo, l’abito da rappresentare, se  militare o borghese e se il cappello dovesse indossarlo o tenerlo in mano… Alla fine Reinhold Bagas realizzò il monumento.

Il grande spazio davanti al Reichstag che, nonostante la corpulenta statua di Bismarck e i filari di alberi, rimaneva sempre immenso si prestò  immediatamente a palcoscenico dei fatti della Storia.

E la Storia prese per sé, avidamente, tutta la scena.

Il 2 agosto 1914 la piazza era piena e si entusiasmava per l’entrata in guerra.

A Natale del 1916 si consolava delle perdite di guerra ricevendo in regalo la dedica sul Parlamento, “ Dem Deutschen Volke”.

Il 28 ottobre del 1918 la stessa piazza inveiva contro borghesi e liberali, colpevoli di ogni male.

Verso le 14 del 9 novembre 1918 stavano seduti al ristorante del Reichstag – a due tavoli diversi perché non si sopportavano – i due socialdemocratici compagni di partito e di corrente che avevano votato a favore della guerra Friedrich Ebert e Philipp Scheidemann e mangiavano la loro zuppa di patate.

La folla fuori però ululava e occorreva che qualcuno dal Parlamento la rassicurasse. Poiché Ebert non volle uscire, si affacciò Scheidemann  alla finestra della sala lettura riviste ed arringò:  Lavoratori e soldati! La sfortunata guerra è finita! Il Kaiser ha abdicato!… Egli ed i suoi compagni sono spariti…Il principe di Baden ha conferito la Presidenza del Consiglio del Reich al deputato Friedrich Ebert! Il nostro amico costituirà un governo di lavoratori!..Il vecchio ed il marcio, la monarchia sono caduti!…Viva il Nuovo! Viva la Repubblica!

Ebert all’interno del Parlamento tuonava contro la decisione del collega di proclamare la  Repubblica. Sosteneva che ciò che sarebbe stato della Germania lo avrebbe deciso una Assemblea Costituente e sperava comunque apertamente in una monarchia.

Il Kaiser poi fu costretto ad abdicare veramente da Imperatore e da Re di Prussia anche se solo il 28 novembre e  Friedrich Ebert fu eletto poi  Presidente del Reich il 13 febbraio 1919 a Weimar, mentre il collega Scheidemann prese il suo posto di Cancelliere.

Nei tre mesi successivi il Reichstag fu occupato dai militari. Sparì tutto ciò che era di valore: le tende di seta, le sedie di pelle del valore di 2500 marchi l’ una, i candelabri…Quel che rimase venne sporcato e rovinato. In aprile si fecero le grandi pulizie di primavera e la disinfestazione dei locali, ma i tempi erano decisamente cambiati e non ci fu disinfestazione che tenesse. Tirava veramente una brutta aria. Tumulti e violenze si succedevano seminando sconcerto.

Il 24 giugno del 1922 si celebrarono i funerali di Stato dell ex-ministro Walter Rathenau, ucciso  in un attentato. L’ouverture del Coriolano di Beethoven era proprio la musica giusta al momento giusto. Un crescendo drammatico, un tentativo di ripresa di armonia, una supplica di dissuasione dalla violenza cieca, vinta però da un inesorabile rincorsa verso lo spaventoso destino.

Il 28 febbraio 1925 morì Friedrich Ebert ed il 26 aprile venne eletto presidente il generale Paul von Hindenburg, anch’egli monarchico. Curioso, apparentemente, che i primi due Presidenti della Repubblica fossero entrambi di fede monarchica – e comunque rimasero fedeli al giuramento repubblicano. Tra bombe ed inni all’ intolleranza si arrivò alle elezioni del 31 luglio del 1932 che videro il partito nazionalsocialista come partito di maggioranza con 230 seggi contro i 133 dei socialisti, gli 89 dei comunisti e gli 85 del centro e nel dicembre dello stesso anno Hermann Göring fu eletto Presidente del Parlamento. Seguirono violenze e scontri.

Il 1 febbraio del 1933 si sciolse il Parlamento. Il 27 febbraio del 1933 tra le 21 e le 22.30 il Reichstag bruciò. Dell’ incendio doloso venne incolpato un anarchico olandese, Marinus van der Lubbe, arrestato e giustiziato a dicembre dello stesso anno dopo un processo-farsa inteso come processo politico contro il Comunismo. Osservando le prove che l’incendio era stato programmato ed organizzato dall’interno ed altre sospette circostanze pare che in realtà l’atto fosse opera dei  nazionalsocialisti stessi anche perché questi stavano programmaticamente creando un clima di terrore. Non tutto il Reichstag comunque bruciò: “solo” l’Aula plenaria ed alcune sale attigue. La biblioteca, la conservatoria, la sala del consiglio, la sala della stenografia erano ancora utilizzabili.

Il tema dell’incendio del Reichstag occupò decine di libri, centinaia di articoli e fu molto caro ai  padri fondatori della Repubblica Democratica Tedesca ed agli intellettuali di sinistra.

Hitler, come sappiamo, venne al potere il 30 gennaio del 1934.

Come utilizzò il Reichstag il Führer?

Lo ricostruì nella parte bruciata, lo spogliò dei libri e degli ornamenti, ricavò un grande bunker, mandò i bronzi dei lampadari rimasti ad Amburgo a fondere, trasferì la statua di Bismarck a Große Stern nel Tiergarten ed inserì l’edificio nell’ambizioso  progetto di costruzione della Haupstadt Germania, affidato ad Albert Speer. Omaggiò, fra l’altro, i cittadini di due mostre: Il Bolscevismo senza Maschera, quivi esposto dal 6 novembre al 19 dicembre 1937 e L’Ebreo Eterno, dal 12 novembre 1938 al 14 gennaio 1939.

Sebbene il Reichstag non fu mai veramente utilizzato dai nazionalsocialisti come Parlamento, che si riuniva nell’adiacente Kroll-Oper, e sebbene poi le più orribili decisioni vennero prese in altri luoghi, gli Alleati individuarono nel monumento un simbolo particolarmente odioso, da distruggere con tutte le proprie forze.

E così fecero.

Negli ultimi mesi di guerra, quando Berlino venne pesantemente bombardata, si tentò di salvare i libri portandone una parte allo Schloss  Bellevue, che però venne colpito nel febbraio 1945, ed una parte nel magazzino di Weinmeisterstrasse, distrutto con un raid il 2 maggio del 1945, a guerra praticamente finita. Solo a Weinmeisterstrasse si contarono 400.000 libri bruciati. Gli 8000 che scamparono alle fiamme vennero poi svenduti in giro per il mondo dagli antiquari della DDR.

La guerra finì per il Reichstag il 29 o il 30 aprile 1945 –  non si è certi della datazione della foto – allorquando due soldati sovietici installarono la bandiera rossa sul tetto.

La bandiera rimase lassù fino al 20 maggio. Poi con cerimonia militare venne smontata e spedita al Museo militare di Mosca.

In questo momento iniziò per il Reichstag, e non solo per esso, la cosiddetta Ora Zero.

Anime del Purgatorio vagavano per la piazza smarrite. Con la differenza che le anime del Purgatorio non sentono i morsi della fame, non commerciano in sigarette e credono comunque in qualcosa.

Dei 2.300.000 abitanti di Berlino del 1945 un buon numero ne transitava quotidianamente per la piazza, vuoi per commerciare al mercato nero, vuoi per coltivare le patate, vuoi per sentire le ultime nuove.

Le preoccupazioni esistenziali cedevano, però, il passo a quelle contingenti ed il destino del Reichstag pareva in quei mesi un problema veramente di second’ordine.

All’inizio del 1947 si stava per decidere di buttarlo completamente giù.

Poi Berlino venne divisa nei famosi quattro settori. Il 17 aprile del 1947 il carismatico Ernst  Reuter divenne il sindaco reggente della Berlino Alleata.

Il 31 marzo 1948 Königsplatz diventò Platz der Republik.

Il 9 settembre dello stesso anno in 350.000 vennero qui a protestare contro il Blocco imposto dai Sovietici e la suddivisione della città in quattro zone di occupazione.

Ernst Reuter tenne qui il famoso discorso di incoraggiamento ai suoi concittadini: Voi gente del mondo, Voi popolo americano, voi popolo dell’Europa, popolo della Francia, popolo dell’Italia!

Guardate questa città e questo popolo che non deve e non può essere il prezzo da pagare!

Il 1° maggio 1949 Jakob Kaiser, antinazista, cofondatore della nuova CDU, il Partito cristiano democratico, parlò alla Piazza perché venisse ricostruito il Reichstag.

Il 30 settembre di quell’anno, su proposta dell’ SPD, il Partito socialdemocratico venne stabilito a larga maggioranza che Berlino era da considerarsi l’avamposto democratico della Germania e che in futuro questa sarebbe tornata ad esserne la capitale.

Questa era già l’atmosfera nel 1949: Bonn veniva già considerata una capitale a tempo determinato.

Quando Berlino Est fece saltare lo Schloss, il Castello, ci si affrettò a stabilire che il Reichstag apparteneva allo Stato e non a Berlino e pertanto ogni decisione sul suo futuro sarebbe stata di competenza centrale.

Il 27 maggio venne buttata giù la Kroll-Oper, sede del Parlamento nazista.

Nell’agosto del 1952 fu girato il bel film di spionaggio Die Spurt führt nach Berlin, ( la Traccia porta a Berlino). Al regista si rilasciò il permesso di effettuare le riprese solo sul lato Nord  perché una perizia aveva stabilito che la cupola era pericolante ed era assolutamente necessario farla saltare.

L’operazione fu, dopo molti preparativi, programmata per il 23 ottobre 1954. Venne anche allertata la polizia dell’Est perché ci si trovava a pochi metri dal confine.

Il lavoro a 70 metri di altezza non fu facile e poi, come sai, a Berlino ad ottobre fa freddo ed è umido. E l’umidità non permise quel giorno al fuoco di accendersi come avrebbe dovuto e poi il freddo risolidificò immediatamente il metallo della struttura che avrebbe dovuto fondersi.

E così ci volle un secondo tentativo il 22 novembre.

Il 1° maggio 1952 Theodor Heuss si era pronunciato per la prima volta da quando era Presidente  della Repubblica per la ricostruzione del Reichstag: “ Noi tutti viviamo e lavoriamo affinché questa casa torni ad essere la patria e la fucina del futuro tedesco”.

Il Reichstag era quindi considerato un simbolo dal quale ripartire per ricostruire la nuova Germania.

Non era ancora chiaro, tuttavia, il ruolo esatto che il luogo avrebbe dovuto assumere.

Un monumento per ricordare o di nuovo un Parlamento?

Il 26 ottobre 1955 si dibatté la proposta dell’SPD di un concorso da 60.000 marchi per la ricostruzione del Reichstag. Willy Brand appoggiò con grande passione.

E poi subito furono stanziati 2.500.000 marchi per la messa in sicurezza dell’edificio e la rimozione delle macerie. I 500.000 marchi vennero erogati dal bilancio del 1956, mentre i restanti 2.000.000 da quello dell’anno seguente.

Nel 1958 si restaurò la facciata ripulita da tutti gli ornamenti e si osservarono le reazioni. Non ci furono pesanti critiche. In realtà qualcuno disse che Wallot non l’avrebbe voluta così, ma prevalse decisamente l’apprezzamento per il segnale di ricostruzione.

Il 12 maggio 1960 fu ufficialmente bandito il concorso per la ristrutturazione del Reichstag, simbolo del Parlamento e forza della democrazia. Questo era lo spirito dell’epoca: una questione di valori prioritaria rispetto allo stile ed agli ornamenti.

Michael S. Cullen nel suo esaurientissimo volume Der Reichstag, Parlament – Denkmal – Symbol

( Il Reichstag, Parlamento, Monumento, Simbolo) ci riporta la difficoltà di reperire fonti relative a questo secondo rifacimento del Parlamento. Se di Wallot venne scritto molto, sul riservato architetto  Paul Baumgarten molto viene taciuto.

C’è da dire che si stava ristrutturando un Parlamento quando i tempi non erano ancora maturi perché questo tornasse a riunirsi a Berlino. E lo si fece, se non proprio in segreto, diciamo comunque con una certa discrezione. La DDR, puoi immaginare, era contrarissima al progetto.

Il 31 dicembre 1969 quando venne consegnata l’Aula plenaria ben sapendo che questa non sarebbe stata utilizzata di lì a breve una strana sensazione di vuoto, di attesa pervadeva l’edificio.

Il 21 marzo 1971, in occasione del centenario della prima assemblea parlamentare, venne inaugurata la mostra  Fragen an die Deutsche Geschichte, Wege-Irrwege-Umwege, Domande alla Storia Tedesca, Vie-Vie Sbagliate-Vie Traverse, che prima di essere trasferita nel 1994 nel Deutscher Dom a Gendarmenmarkt, dove ancora oggi puoi visitarla, accolse qui ben 10 milioni di visitatori.

L’attesa, lo saprai per esperienza, è un limbo strano. Ma il Reichstag, Penelope del dopoguerra, mantenne i nervi saldi e seppe aspettare. Vent’anni. E intanto tesseva la tela e poi a volte la disfaceva. Ma per lo più la tesseva.

Dal 27 giugno al 7 luglio 1995 il Reichstag-Penelope mostrò a tutti la sua tela di polipropilene ed alluminio festeggiando in una grandissima atmosfera di gioia e pace – un Woodstock tedesco da 5 milioni di visitatori – il ritorno del suo Bundestag-Ulisse ad Itaca-Berlino.

Ma in vent’anni cosa si fece? Si fecero prove di democrazia, diciamo così, in un certo senso fu un vero e proprio viaggio iniziatico veramente simile ai labirinti dell’Odissea, fatto di estenuanti dibattiti e discussioni e teso a restaurare giorno dopo giorno con paziente costanza l’idea di Germania. Sì perché essendo  il Parlamento per antonomasia il luogo della Democrazia, le decisioni che lo riguardavano assumevano tutte valori simbolici agli occhi dei tedeschi e agli occhi del mondo.

Siamo negli anni ’70 ed ’80 prima, lenti e pesanti con due Berlino e due Germanie e nei precipitosi  ’90 poi, quando occorse quasi all’improvviso ritraslocare tutta la burocrazia nella vecchia capitale.

Poiché Berlino era guardata dal mondo intero con particolare attenzione, parallelamente alla preparazione del nuovo parlamento nacque nel 1971 nella mente di M. S. Cullen, il grande bibliografo del Reichstag, l’idea di presentare una azione artistica sensazionale che riguardasse l’edificio.

Contattò quindi la coppia di artisti Christo e Jeanne-Claude, che esprimevano la propria visione del mondo impacchettando oggetti e pezzi di arte di varia natura, e propose loro di impacchettare il Reichstag.

Gli artisti non si dissero contrari, ma il progetto era senz’altro ambizioso e necessitava di un largo consenso. Nel 1976 la Presidentessa del Bundestag Annemarie Renger si espresse favorevolmente, ma poi l’anno dopo il Presidente del Parlamento e futuro Presidente della Repubblica Karl Carsten bloccò il progetto, ma il sindaco di Berlino Dietrich Stobbe lo rimise prontamente all’ordine del giorno. Ma poi si aspettò il 1982 per parlarne di nuovo con favore. Reiner Barzel, Presidente del Bundestag e poi Richard von Weizsaecker, prima sindaco di Berlino e poi Presidente della Repubblica portarono avanti la discussione.

Nel 1985 Christo e Jeanne-Claude impacchettarono con uno spettacolare successo mondiale il Pont Neuf a Parigi. Da allora l’opinione pubblica fu veramente pronta e dopo la riunificazione della Germania e prima di dare l’assetto definitivo al monumento con i lavori di ristrutturazione, la Presidentessa del Parlamento Rita Süssmuth contattò definitivamente gli artisti il 9 febbraio del 1992. Nel febbraio 1994 ebbe luogo però un’animata discussione in parlamento ed il CSU, il CDU ed i Liberali si espressero contrariamente all’azione artistica. Ma poi convincenti discorsi di ottimismo fecero propendere di nuovo per l’impacchettamento. Siamo pronti! – dichiararono gli artisti – procediamo all’azione un mese prima dell’inizio dei lavori di riedificazione!

E ancora dovettero aspettare. Poi finalmente poterono stendere il velo di 100.000 mq. sul monumento dal 27 giugno al 7 luglio 1995. Erano intanto passati 24 anni ed un fiume di storia. Su 100 adulti tedeschi 96 hanno visto l’immagine del Reichstag impacchettato e 5 milioni di visitatori, come ti dicevo prima, hanno potuto dire con orgoglio: Io c’ero!.

Oltre alla storia del Reichstag  impacchettato si svolse in quegli anni anche la riunificazione della Germania.

E sulla Platz der Republik si festeggiò con  una movida infinita.

Il 4 ottobre del 1990 il nuovo Bundestag, la nuova Assemblea parlamentare si ritrovava dopo ben 57 anni, dopo cioè dopo il 9 dicembre del 1932 di nuovo nel Reichstag.

Impossibile descrivere la felicità di quei mesi.

Quando il 16 ottobre del 1992 ci fu il funerale di Willy Brandt alla sensazione di perdita si mescolò nell’Aula plenaria anche un senso di compimento, di cammino fatto, di completezza e di apertura al futuro.

Che aspetto ha ora il nuovo Reichstag che è qui ai miei piedi?

Un aspetto principalmente funzionale, moderno nei materiali e negli allestimenti per rispondere alle esigenze di un’ Assemblea moderna ed un aspetto estetico di grande impatto. E’ una bellezza efficiente, se così si può dire, che si nutre del suo passato per capire meglio dove andare.

Tu visitatore entri dall’entrata principale sul lato ovest, mentre i deputati prevalentemente accedono dal lato est, facilmente raggiungibile con le macchine.

Tu, popolo puoi salire le scale ed arrivare ai  mezzanini serviti da sottili ponti d’acciaio che contrastano con l’imponenza delle volte in muratura. Mio padre ha fatto togliere tutti i pannelli di copertura che aveva installato Baumgarten. Negli anni ’60 si voleva dimenticare la guerra, ora si trova la forza di riportare in evidenza sui muri le decine e decine di graffiti cirillici lasciati dai vincitori soldati russi nella primavera del 1945 ed i buchi delle pallottole. Dal mezzanino, contraddistinto da porte color verde scuro, Tu, popolo puoi scrutare attraverso il vetro le nuche dei Tuoi rappresentanti che discutono nell’Aula plenaria. Le poltrone sono qui disposte su una semiellissi, una forma speciale, né aperta né chiusa, diversa dalle forme degli altri parlamenti famosi, che guarda alle file di poltrone riservate ai membri del Governo, del Bundesrat, della Presidenza ed al Commissario parlamentare per le Forze Armate. Dietro le poltrone dei deputati ci sono le gallerie per i visitatori e per la stampa. Il cuore della democrazia tedesca Ti appare come 1200 mq di superficie per 24 di altezza di muri grigi, pannelli fonoassorbenti grigi, dodici sottili colonne grigie sormontate da luci, pulpito degli oratori grigio, banco degli stenografi grigio e  tappeto grigio che fanno risaltare le poltrone di un particolarissimo blu che tende al viola. Sotto le poltrone è installato un sistema antincendio e sotto il tappeto, ci credi? non c’è un pavimento normale, ma una struttura in acciaio sulla quale è montata una rete metallica che distribuisce l’aria fresca che arriva da fuori, mentre l’aria viziata confluisce nel cono scultore di luce ed esce dal foro che ho sulla testa. Dal basso all’alto si svolge quindi anche il percorso dell’aria: quando si dice una democrazia-totale…

Al piano dell’Aula plenaria  ci sono le lobbies, le sale, il bistrot, il bar, il ristorante, la cappella per la preghiera e la meditazione e la biblioteca. Qui le porte sono tutte blu.

Al piano di sopra, dietro le vivaci porte rosso borgogna ci sono la Sala del Consiglio degli Anziani, la Sala del Protocollo e le sale dedicate alla Presidenza. Qui gli spazi si fanno più ampi, il tempo si dilata mentre la parete di vetro al centro permette sempre di guardare l’Aula plenaria sottostante.

Al terzo piano ci sono le quattro torri, ciascuna dedicata ad un gruppo parlamentare.

E poi abbiamo cortili e terrazzi, ma gli spazi non bastano comunque all’articolata macchina della nostra democrazia ed allora nel palazzo accanto, la Paul-Löbe Haus si trovano 510 stanze per i deputati, 450 uffici per le segreterie delle commissioni e le sale a due piani, contenute in otto rotonde e riservate alle commissioni. Nella vicina Marie-Elisabeth-Lüders Haus si trova il serbatoio del sapere del Parlamento: archivio, biblioteca, documentazione stampa, servizi scientifici, ma anche la sala d’arte contemporanea dove vengono allestite mostre su temi politici. La Jakob-Kaiser-Haus ospita ancora uffici, studi televisivi, ufficio stampa, sala stenografi, sale riunioni per le commissioni di studio…

Ed ora viene per me, Clara, un momento difficile. Quando mio padre, l’architetto Sir Norman Foster, mi ha invitata alla conoscenza di me stessa io immaginavo bastasse darmi un’occhiata negli specchi del cono scultore di luce per vedere come sono. Mi sono messa a studiare la storia passata per curiosità personale, ma poi le vicende precedenti alla mia nascita non me le aveva mai raccontate nessuno. Per pudore, forse, o per non turbarmi con aggravamenti esistenziali la pubertà.

Nel 1992 e nel 1993 si tennero grandi discussioni sull’utilità o meno di ricostruire una cupola.

Nello schieramento dei fautori della costruzione della cupola si trovavano CDU e CSU che avrebbero voluto ripristinare il vecchio modello tale e quale, per questione di stile, ma senza che ciò avesse un significato politico di restaurazione. C’era poi chi non voleva più una cupola e addirittura chi non sopportava proprio il Reichstag come edificio.

Nel febbraio del 1994 mio padre col suo corposo studio di dozzine e dozzine di architetti associati presenta un progetto contrario alla ricostruzione storica della cupola perché non funzionale: troppi spazi ed energia sprecata e propone una struttura sospesa leggera a copertura dell’edificio e poi delle lamelle che si muovono.

E lancia la sua grande idea del cono scultore di luce ed energia.

Roba da pazzi – gli rispondono – non si è mai visto su nessun Parlamento al mondo.

E allora mio padre continua a presentare progetti di cupole per dimostrarne la loro infattibilità: troppo pesanti, impediscono di sfruttare i piani sottostanti, tolgono luminosità…

Ha deciso: non farà nessuna cupola. Bisogna proiettarsi nel futuro e non riesumare il passato.

Oscar Schneider, Ministro dei Lavori Pubblici della CSU, assieme al suo partito ed alla CDU insistono nel volere la cupola. Il 28 giugno conferiscono a mio padre l’incarico di occuparsi della sua costruzione, accettando l’ipotesi di una variante moderna.

Mio padre dice: Yes, I do, intendendo con ciò prendere atto dei bisogni della collettività e intanto continua a parlare del suo cilindro. Il 30 giugno si tiene una vivace seduta in cui si prega di lasciar perdere il progetto del cilindro per occuparsi della cupola.

Mio padre accetta non avendo però ancora alcuna idea di cupola.

Oscar Schneider si sente sollevato, il Bundestag pensa di aver raggiunto un accordo, ma nessuno in realtà ha ottenuto ciò che veramente voleva.

Che sia questa la Democrazia? I giornali si scatenano.

Mio padre, comunque, la prende con filosofia. Quando in un’intervista gli viene chiesto: E se il Bundestag cambia di nuovo idea? Lui risponde: Non saprei. Può darsi che domani siamo tutti morti. Il mondo continua comunque a girare.

Schneider non si ricandida ed i sostenitori della cupola perdono consensi.

Nel febbraio del 1995 papà presenta a tutti la mia prima ecografia. Un gelato decapitato, cioè una forma parabolica con la sommità aperta come un camino di un forno crematorio; all’interno due rampe: una per la salita ed una per la discesa ed al centro, a forma di imbuto, il famoso elemento scultore di luce con i suoi 360 specchietti che si muovono per catturare la luce e rifletterla nell’Aula plenaria, modulata durante le varie ore del giorno per mezzo di un sistema computerizzato che rileva  l’eccessiva esposizione ed aziona di il meccanismo parasole…così da non ustionare i deputati… Il tutto ecologicamente sostenibile!

Silenzio ostile e scetticismo da un lato e la voce del collega Santiago Calatrava dall’altro che asserisce che mio padre si sia ispirato troppo ad un suo progetto.

A marzo ci sono serie minacce d’aborto.

Ad aprile continua quella che può tranquillamente dirsi una gravidanza difficile.

L’8 maggio viene approvato il progetto dal Consiglio Parlamentare degli Anziani.

I fautori dell’ idea di cupola si sentono traditi.

I giornali, l’opinione pubblica, la Gesellschaft Historisches Berlin guardano le mie ecografie e scuotono la testa. Dicono che sono una bolla di sapone, un alveare, un uovo inglese e che non ho sembianze europee.

La CDU e la CSU che negli anni 80 non si interessavano affatto di architettura scoprono ora una nuova vocazione e, con l’entusiasmo dei neofiti, non lesinano le proprie critiche, un po’ nello stile di Guglielmo II, ma con la differenza che per i conservatori di oggi l’allora innovativa cupola di Wallot è una bellezza classica e non la “ somma del cattivo gusto” come andava allora dicendo Guglielmo II.

Ah, se li avesse sentiti il Kaiser, questi moderni conservatori! O tempora, O mores! Le mie ecografie sono sui giornali accanto alle sagome degli altri monumenti per dimostrare che non somiglio a nessuno.

Intellettuali autorevoli rivogliono assolutamente la cupola di Wallot o che il Reichstag rimanga piuttosto per sempre impacchettato.

Si forma un vero e proprio movimento di fedeli alla cupola di Wallot che cerca di fare proseliti.

Lo studio di mio padre non risponde, lavora. Elimina la precedente impronta di Baumgarten ed allarga gli spazi e dona loro aria e luce e dimostra che il progetto è ecologico ed economico.

Siamo alla fine del 1995. Continuano a guardare le mie ecografie chiamandomi l’uovo inglese.

Nella primavera del 1996 ci fu l’ultima grande campagna stampa per impedire la mia nascita.

Ma oramai, per mia fortuna, le doglie si avvicinavano.

Dopo un paio di contrazioni, con un parto abbastanza naturale, tra  l’autunno del 1996 e l’estate del 1998 sono venuta finalmente alla luce.

E che luce!

Tutti si precipitarono attorno alla mia culla.

Non mi dissero più cose tanto brutte, solo: Com’è strana!

Mio padre sorrideva a tutti orgoglioso dicendo: Quello che sarà di lei lo deciderà il tempo!

Ed il suo terzo occhio del  visionario gongolava già al pensiero che il tempo gli avrebbe presto dato un bacio in fronte. Sapeva che le difficoltà della gravidanza sarebbero state presto dimenticate e che i nuovi nati come me mi avrebbero trovata non solo normale, ma bella ed i vecchi nati avrebbero allora confermato, entusiasti, rincarando: è bellissima! Sapeva che la bellezza è negli occhi di chi guarda.

6 anni fa